Delia Sforza
Statement

                ph. Lino Intravò, 2011

Dopo essersi diplomata presso l’Accademia di Belle arti di Bari nel 2004 si trasferisce nella capitale. Nel 2004 è selezionata per la mostra Premio Nazionale delle Arti Visive edizione 2004 presso il Museo degli Strumenti Musicali di Roma. Nel 2005 viene selezionata frequentando il Corso biennale Abilitante di Secondo Livello (Cobaslid) per l’insegnamento di Discipline Pittoriche, con tesi di diploma per l’Esame di Stato in Tecniche Pittoriche dal titolo ”Oggetti di memoria: la fruizione del vissuto nella rappresentazione di un’opera d’arte” dove l’interesse per la ricerca autobiografica inizia ad affacciarsi nei suoi lavori. Attualmente vive lavora a Bari. L'arte intesa come ricerca, come vero e proprio strumento di conoscenza nel significato più ampio del termine, volontà d’indagine che si manifesta nella sua produzione attuale: intesa, dall'artista, quasi come terapeutica ricostruzione e ricomposizione del puzzle emozionale e intellettuale di se stessa. Nei suoi lavori troviamo un volto, un singolo sguardo... una singola tessera di quel puzzle che cerca compimento. Volti persi nel tempo, ma che incutono rispetto, misteriosamente presenti, e di cui hai quasi timore di vedere i tratti farsi un po’ alla volta nitidi e riconoscibili. 

La mia ricerca nasce dall'interesse che ho verso l'umano. Un'indagine autobiografica, quasi terapeutica dove la ricostruzione e la ricomposizione del puzzle emozionale e intellettuale cerca compimento. Il rapporto con le mie opere è un dialogo aperto, uno specchio in cui riflettermi, un punto di partenza per un percorso di esplorazione del sé e di riprogettazione della propria identità. Nei miei lavori si trovano, volti persi nel tempo, che incutono rispetto, misteriosamente presenti, e di cui hai quasi timore di vedere i tratti farsi un po’ alla volta nitidi e riconoscibili, dettagli di corpi, zone d'ombra, sfumature, ciò che si nasconde, ciò che urla guardandoci in silenzio. Qui si trovano tracce di chi eravamo, tracce di chi siamo e di chi sono gli altri intorno a noi. Il mio vissuto, la mia esperienza insieme a quella degli altri non mi fa sentire sola, ed ecco che un pensiero, una scritta, un graffio, una figura che iniziano a vivere su una superficie altra, parlano di me, mi piace la sensazione di essere letta, guardata, ascoltata da un'altra angolazione probabilmente, più intima, più privata.

L'interesse per l'uomo, attraversato da silenzi, da dolori, da finzioni è quello che spinge la mia ricerca oggi. La vicinanza che provo per la vulnerabilità, per la debolezza , da quando ho cominciato a riconoscerla. Vorrei poter nominare il dolore che finora ho vissuto in silenziosi sorrisi e la solitudini come qualcosa di cui non dovermi vergognare. Come dice Louise Bourgeois, il dolore no può essere vinto, è necessario che sia mostrato, perché si trasformi in forza. Il dolore rappresentato dagli artisti aiuta a dare forma e visibilità al nostro, a trovare le parole per tenerlo a bada, controllarlo o aggirarlo, sublimarlo, per questo parlavo prima di funzione terapeutica nella mia ricerca. Divenuto racconto, il dolore ci consente, specchiandoci in esso, di crescere, rivelandoci lati sconosciuti, reazioni, gesti. Perché secondo me l'arte non deve rassicurare fungendo da analgesico ma deve restituire emozioni, desideri, sofferenze, incubi, sogni, l'arte a cui affidiamo segreti, paure, ombre, aspetti sconosciuti di noi e del mondo.